La cappella di San Carlo

La cappella intitolata a San Carlo Borromeo fu costruita fra il 1627 e il 1630 nell’area in cui precedentemente sorgeva l’altare dedicato a Sant’Antonio Abate, così come attesta l’epigrafe

D.O.M.
IO. LAURETUS TERZONIUS REAT.
SACELLUM A FUNDAMENTIS EREXIT
ORNAVIT ET DENARIIS VOTO DOTAVIT
D. CAROLO DICAVIT
MUNERE SACERDOTIBUS INIUNCTO
BIS IN HEBDOMATA CELEBRANDI
AC EIUS FESTO DIE SOLENNIA
POSTERO AUTEM IUSTA PERAGENDI
CONSTAT PENES ACTUARIUM CATHEDR. ID. OCT.
MDCXXVII

 

Le fonti d’archivio non riportano il nome del progettista, ma registrano gli interventi decorativi di Gregorio Grimani, che nel 1637 realizzò in stucco i fregi dell’altare ligneo e le figure allegoriche, e di Lattanzio Niccoli, autore della tela dell’altare, raffigurante L’apparizione della Vergine Maria con il Bambino Gesù a San Carlo Borromeo, delle quattro tele oblunghe che rappresentano Sant’Antonio di Padova, Santa Francesca Romana, Sant’Antonio Abate, Santa Maria Maddalena e dei delicati quadretti raffiguranti gli angeli che portano gli strumenti della Passione.

Lattanzio Niccoli, fiorentino di nascita, reatino d’adozione, fu membro a Roma dell’Accademia dei Virtuosi e dell’Accademia di San Luca. Dopo aver aperto con successo una apprezzata bottega a Rieti, negli anni Trenta del XVII secolo si trasferì nella capitale dello Stato con l’incarico di assistente agli studi presso l’Accademia di San Luca. Morì a Roma nel 1660.

Il contributo dato dal cavalier Niccoli alla cappella di San Carlo fu di buona qualità, elegante ed armonioso, in sintonia con l’impianto plastico del maestro stronconese, ma i due dipinti delle pareti laterali furono affidati al pennello di un diverso artista.

Le due tele, raffiguranti rispettivamente a destra Il martirio di San Lorenzo ed a sinistra Il martirio di Santo Stefano in un documento del Capitolo datato al 1777 sono dette opera di tal Mendozzi, che Angelo Sacchetti Sassetti identificò in un ipotetico Pedro Mendoza da Huesca.

La critica più recente tende ad accostare la tela alla maniera del sabino Giulio Bianchi da Monte San Giovanni.

La personalità artistica dell’autore di queste pregevoli tele è sicuramente provinciale, ma non ingenua ne’ ignara della lezione dei contemporanei maestri veneti e romani.

Il risultato narrativo è vivace, realistico, animato da quello che Barroero e Saraca Colonnelli definiscono «gusto da teatrino popolare […] con sintetico e rapido disegno».

Sarebbe forse più consono ravvisarvi il lascito della tradizione teatrale legata alla sacra rappresentazione, dal momento che il repertorio dei misteri messo in scena dalle confraternite reatine nelle solennità dell’anno liturgico era piuttosto vario, segnalandosi per originalità ed efficacia. In particolare, nell’epoca in cui vengono realizzate le tele in questione, le confraternite di San Biagio, di San Giorgio e di Sant’Antonio di Padova si alternavano nell’allestimento dei quadri plastici del Venerdì Santo e dell’Ascensione, mentre la rappresentazione della Distruzione di Gerusalemme e della Passione di San Giorgio era riservato appannaggio della confraternita antoniana.

La cappella passò nel corso del XVIII secolo ai marchesi Colelli, discendenti ed eredi dei Terzoni, e da questi ai Vecchiarelli. Si deve al generoso intervento di Maria Vincentini Vecchiarelli l’ultimo restauro, compiuto nel 1903 dal professor Giuseppe Colarieti Tosti.