Il battistero di San Giovanni in Fonte

La costruzione della basilica superiore aveva previsto l’erezione del battistero aperto sul sagrato orientale ad accogliere i catecumeni.

Poco sappiamo del suo primitivo assetto della cappella battesimale, dal momento che sia la decorazione pittorica di due dei nicchioni sia la realizzazione del fonte marmoreo risalgono agli ultimi decenni del XV secolo.

La pianta ortogonale della cappella di San Giovanni in Fonte, trasformata in una chiesa vera e propria mediante l’erezione della facciata per decreto del Visitatore Apostolico monsignor Pietro Camaiani (1573-1574), era movimentata dalle superfici semisferiche dell’abside – abbattuta nel XIX secolo – e delle nicchie abbinate disposte lungo le pareti laterali.

Due di queste, precisamente quelle della parete ovest, furono decorate a fresco dal pittore reatino Domenico Papa che vi rappresentò con modeste varianti il tema della Crocifissione.

I due dipinti furono eseguiti nel breve arco di tempo di sette anni: il primo affresco risale infatti al 1482, come risulta dalla data apposta lungo il fascione fitomorfo che fa da base alla raffigurazione del Golgota, il secondo è datato 6 luglio 1489.

Ulteriori affinità si ravvisano nell’impostazione quasi stereotipata dei dipinti, in cui il modesto frescante dispone paratatticamente ai lati della croce i Santi venerati dai committenti.

Nel primo caso, l’affresco è commissionato da Francesco di Onofrio da Monteleone che l’iscrizione definisce «tubicen», vale a dire banditore del Comune.

Questi è raffigurato in ginocchio, ai piedi della croce, accanto a San Marco ed alla Madonna mentre sul lato opposto si affiancano San Giovanni Evangelista e Sant’Antonio di Padova.

L’affresco della seconda nicchia fu invece richiesto da Amico Stabili, canonico e benefattore della Cattedrale.

Il Cristo crocifisso è stavolta attorniato dalle figure di Santa Giuliana e Sant’Antonio di Padova.

L’identificazione dei Santi, raffigurati con i loro emblemi parlanti, è ulteriormente facilitata dalle iscrizioni in rustica scrittura gotizzante incluse in vasti cartigli che si stagliano sulla superficie campita d’azzurro.

La scelta ridondante del soggetto iconografico è perfettamente in linea con la funzione della cappella, dal momento che la raffigurazione ieratica del Cristo in croce porta a sintesi la narrazione dell’Antico e del Nuovo Testamento e rappresenta il necessario presupposto del sacramento del battesimo, impartito in questo spazio consacrato.

Pressoché coeva agli affreschi di Domenico Papa è la realizzazione del fonte battesimale che Angelo Sacchetti Sassetti nella sua Guida di Rieti definisce «elegantissimo […] ornato di frutti marini e degli stemmi del Vescovo Angelo Capranica, dal quale fu certo donato».

La descrizione ben si attaglia al pregevole manufatto lapideo, ma richiede di essere approfondita ed integrata sotto il profilo iconologico.

Le fonti documentarie scarseggiano, a proposito della committenza, dell’allogazione, del pagamento di quest’opera così raffinata ed importante per la sua funzione: anche i più attenti studiosi del Seicento reatino, da Pompeo Angelotti a Loreto Mattei, si limitano infatti ad una citazione per sommi capi.

Il canonico Pompeo Angelotti, nella stesura della sua Descrittione della città di Rieti dedicata al cardinale Francesco dei conti Guidi di Bagno all’atto della sua elezione alla guida della diocesi reatina nel 1635 scrive che «alla fin dell’Atrio (della Cattedrale) scorgesi il Tempio del Glorioso Precursore col fonte Battesimale in mezzo, e col superbo Campanile fabbricato di Pietre riquadrate con cinque grandissime Campane, che col lor suono rendon’ assai soave armonia».

Ancora più generico è l’Erario Reatino dell’erudito poeta Loreto Mattei, che si diffonde piuttosto nella descrizione del portico voluto nel 1458 dal vescovo Capranica: «Fa […] nobile vestibolo e atrio a questa chiesa un ampio portico erettovi dal Capranica Vescovo Cardinale reatino, di cui scrive il Ciaccone: Fuit ferme Angelus nomine moribus atque doctrina, vedesi la sua Arma sopra le prime arcate del portico con tal iscrizione: Angelus Reatinus Pontifex Aedem haec quam tibi virgo struxit Reatina vetustas, oportuna porticu sua impensa decoravit quo commodius fideles in ea pro suo honore conveniant A. Divi Jesu MCCCCLVIII.

Congiunto a questo portico sorge a somma altezza, dominante la città tutta e campagna intorno, l’antico ma ben intero edificio della gran torre delle campane che isolata e disgiunta dalla chiesa era stata gran tempo prima edificata tutta di pietre e marmi pulitamente lavorati con una iscrizione sull’entrata di essa torre esprimendosi il tempo del millesimo, il nome del Vescovo, la sua consacrazione, l’entrata, il possesso, il sinodo, le ordinazioni celebratevi, le visite della diocesi, l’erezione di esso campanile, il tutto nel primo anno della sua residenza operato con li nomi anco delli architetti di essa fabrica […]. Termina questo portico con la chiesa parrocchiale di S. Giovanni in Fonte, membro di essa chiesa Cattedrale sub eodem tecto e la conferenza di essa cura spetta al capitolo della Catedrale con titolo di Vicaria».

Stando così le cose, non resta dunque che affidarci ad un’analisi di tipo formale per attingere ai livelli di significato più profondo che certo motivarono i committenti ed ispirarono gli artefici di questo prezioso manufatto.

Iniziamo con la distinzione dei vari elementi costitutivi del fonte battesimale: dal basso verso l’alto, enucleiamo la base, il fusto, il catino, il coperchio per fornirne una lettura iconica.

Il catino poggia su di un parallelepipedo a tronco di piramide.

Gli spigoli sono modellati con zampe leonine alate, le quattro facciate presentano eleganti fregi che impaginano delle palmette.

L’araldica, prima ancora del simbolismo iconico dell’arte cristiana, fa ricorso al leone per indicare gli estremi, alle ali per evocare l’appartenenza alla sfera celeste.

L’associazione delle due immagini nel basamento del catino lustrale si presta ad un’interpretazione univoca: l’uomo, dotato di libero arbitrio, può dominare le forze che lo zavorrano a terra e liberarsi dal peccato.

Quanto alla decorazione fitomorfa, in essa riecheggia l’immagine del Salmo 92,13: «il giusto fiorisce come palma».

Il fusto scanalato, fortemente rastremato, è sormontato da una corona di foglie di acanto che sostiene la vasca ampia e schiacciata, decorata da lobi ad imitazione dei petali di un fiore dalla corolla aperta.

Su di essa si innesta una bordura verticale a mo’ di ghiera, in cui si alternano i tre cipressi dell’arme Capranica, dalle radici legate da un’ancora, con il motivo dei delfini affrontati, intercalati dal tridente.

Tanto lo stemma vescovile, quanto l’immagine dei delfini ricorrono nel coperchio di grandi dimensioni, fortemente bombato, dalle proporzioni eleganti ed armoniose.

Lo stemma gentilizio sormontato dal cappello episcopale è affiancato dalle immagini di delicati cherubini dalle ali aperte a raggiera.

La calotta si restringe, offrendo spazio ad una ghirlanda di fiori e frutti dal gusto squisitamente rinascimentale, fino a culminare nel gruppo plastico dei tre delfini che annodano le code su cui sostengono l’Agnus Dei.

Il delfino, attributo di Apollo, Afrodite, Poseidone nell’antica iconografia classica, aveva assunto nell’arte etrusca la funzione di traghettare le anime dei defunti nell’oltretomba.

Nei secoli a venire, il delfino si associa con l’ancora, simbolo di fermezza: nella decorazione scultorea del fonte battesimale, questo emblema ricorre nell’arme Capranica giustapposta agli agili profili dei delfini.

All’ancora, inoltre, si associa l’immagine della croce di Cristo, fondamento della speranza nella resurrezione.

L’eleganza formale del fonte ben si combina con la pregnanza delle immagini prescelte: se una lettura in chiave storico-artistica è sufficiente a suggerire l’adesione ad una civiltà raffinata come quella classica e pagana che il rinascimento addita come modello, secondo la visione albertiana sottesa alla progettazione del Tempio Malatestiano a Rimini, una più accorta analisi iconologia rivela dunque nell’apparato decorativo le emergenze di una mappa concettuale dal saldo impianto catechetico.

Il fonte battesimale si presta ad essere interpretato come esaltazione delle Virtù teologali, ed in particolare della Speranza.

Simbolo di elezione ne sono i delfini, affiancati al tridente sottratto a Poseidon per assumere un significato trinitario.

Le loro figure flessuose ricorrono più volte sui bassorilievi della superficie convessa del coperchio del catino lustrale, fino ad assumere proporzioni maggiori e forme tridimensionali nella cuspide che sostiene l’Agnus Dei, l’agnello sacrificale che suggella il patto della rinnovata alleanza fra Dio e l’umanità.

Il cappello episcopale che sormonta lo stemma del casato gentilizio dei Capranica pone un problema di datazione del prezioso manufatto difficilmente risolubile; l’emblema infatti rinvierebbe all’apparenza al decennio 1450-1460, che intercorre fra il trasferimento a Rieti e la consacrazione cardinalizia.