Costituita nel 1502 per iniziativa del cardinale Giovanni Colonna, la Compagnia del Santissimo Sacramento intraprese l’allestimento della cappella a cornu Epistulae del transetto affidando la realizzazione di un imponente tabernacolo allo scultore fiorentino Federico di Filippo di Ubaldo che, in collaborazione con il romano Salvato di Giacomo Pirozi, eseguì nell’arco di un decennio un’opera di raffinato gusto rinascimentale.
Il tabernacolo si sviluppava su tre distinti registri.
Sotto la mensa d’altare era disposto un paliotto su cui era raffigurato ad alto e basso rilievo il Cristo in atto di risorgere, sostenuto sul bordo del sepolcro da due angeli recanti i simboli della passione.
A destra e a sinistra dell’altare, entro nicchioni coronati da valve, erano disposti nel primo registro San Giovanni Battista e Santa Barbara, patrona di Rieti, nel secondo il profeta Isaia e re David, ciascuno con il proprio emblema parlante.
Al vertice della complessa struttura era collocato il Bambino Gesù, in atto benedicente, recante in mano la sfera-mondo.
Il paliotto è attualmente disposto lungo la parete del transetto da cui si accede alla cappella delle Reliquie.
Il Cristo che risorge sorretto dagli angeli sollevandosi dal sepolcro in cui sono raffigurati gli strumenti della Passione ha appena vinto la sua battaglia contro la morte: pur apparendo affranto, dolente e fragile nella sua umanità, è il testimone della vita eterna.
La lastra marmorea custodita presso il lapidarium reca al centro il monogramma raggiante IHS, agli spigoli le testine di due delicati puttini: nel complesso del monumento, faceva da raccordo fra la mensa dell’altare ed il tabernacolo.
Le statue incluse in nicchie finemente decorate in oro zecchino, a tutt’oggi murate lungo le pareti del battistero, costituivano il complemento catechetico del SS.mo Sacramento.
Nell’ordine inferiore, erano disposti il Precursore San Giovanni Battista e Santa Barbara patrona di Rieti, autentici testimoni della virtù teologale della Speranza: l’uno, infatti, aveva accettato di buon grado di essere vox clamantis in deserto, l’altra aveva saputo sfidare l’autorità paterna per obbedire al Padre celeste.
Così nel registro superiore compaiono il profeta Isaia, il primo dei quattro profeti maggiori, che prefigurò la fioritura dell’albero di Jesse e la maternità divina di Maria, ed il re David, profeta del sacrificio della croce ed autore dei Salmi.
La scelta di questi personaggi corrisponde puntualmente ad una precisa esigenza didascalica, costituendo i gradini della scala verso il Creatore culminante nella finissima figuretta del Cristo bambino custodita nella cappella di Sant’Ignazio in cattedrale.
Al Bambino Gesù facevano da coronamento i due cherubini alati inclusi in lunette a semicerchio, attualmente nel lapidarium.
Così Cristo è l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine – o, meglio, il fine – della storia dell’uomo, rappresentata simbolicamente nel maestoso tabernacolo di Federico Fiorentino, che riecheggia nelle forme il monumentale altare eretto da Desiderio da Settignano presso le sagrestie della basilica medicea di San Lorenzo a Firenze.
Nel 1629, l’esigenza di aderire al dettato tridentino, insieme con il mutamento del gusto e degli stili, indusse la Compagnia a procedere allo smantellamento del tabernacolo ed al riassetto della cappella, su disegno dell’architetto fiorentino Andrea Marovelli, già completata nel 1636.
Nel 1653, il pittore viterbese Francesco Romanelli realizzò le due grandi tele laterali, raffiguranti rispettivamente il Sacrificio di Noè e l’Ultima Cena.
Nel 1680, don Pietro Revecci disegnò l’altare e il pavimento della cappella, in cui nel 1758 fu collocato l’elegante, prezioso tabernacolo in marmo progettato dall’architetto Clemente Orlandi.
Caratteristica della cappella del Sacramento è la luminosa plasticità degli stucchi, opera pregevole di Gregorio Grimani da Stroncone, indorati nel corso del XVII secolo da Ludovico Gonnetti e nel 1829 dal romano Castelli.
Le pitture parietali, ispirate ai patriarchi e profeti dell’Antico Testamento, realizzate in collaborazione da Ascanio e Vincenzo Manenti e da Lattanzio Niccoli, furono ridipinte più che restaurate nel 1829 da Pietro Paoletti.
Affianca la cappella del SS.mo Sacramento la piccola aula della Sagrestia del tempo ordinario che dispone di quanto è necessario all’officiante per predisporsi alla celebrazione liturgica: il lavabo in pietra e stucco per purificare le mani, le stigliature in noce per disporre ordinatamente i purificatoi, le patene, le ampolline, le navicelle, i turiboli, le cartegloria richiesti dal rito. Un ambiente riservato e discreto, reso luminoso dal nitore delle pareti sui cui si stagliano con straordinaria armoniosità gli stucchi impreziositi da pennellate di porpora e d’oro, il basso soffitto aperto verso l’infinito dalla elegante cornice mistilinea che impagina l’ostensorio raggiato, perché il sacerdote sia esortato e meglio disposto alla meditazione.
Dal punto di vista stilistico, l’intervento di allestimento della piccola sagrestia appare coevo alla decorazione della Cappella del SS.mo Sacramento: l’affinità stilistica, la coincidenza temporale possono consentire di formulare un’ipotesi attributiva degli stucchi, riconducibili all’abile modellato dello stronconese Grimani, delle dorature ascrivibili ai romani Gonnetti e Castelli, della pittura murale alla celebre bottega dei Manenti padre e figlio, entrambi al servizio della Cattedrale nel corso della prima metà del Seicento.
Grazie ad un recente intervento di consolidamento e restauro, la cattedrale ha recuperato un suo spazio funzionale, conferendo dignità e decoro al luogo in cui il sacerdote si prepara interiormente alla celebrazione.