Il portico

L’elegante portico voluto nel 1458 dal vescovo Angelo Capranica collega ed armonizza sotto il profilo architettonico i diversi corpi di fabbrica della cattedrale, del battistero e della torre campanaria aprendosi verso oriente mediante due archi a tutto sesto ed un archetto a sesto acuto, scanditi da piloni ottagonali.

Esso costituisce il raccordo simbolico, oltre che funzionale, tra lo spazio esterno alla chiesa, deputato alle attività civili, al mercato, agli scambi ed alle transazioni, occasionalmente fruito per processioni e sacre rappresentazioni, e l’interno, costituito dall’ampia aula basilicale che a partire dal XV secolo cominciò a dotarsi delle ricche cappelle aperte lungo le navate laterali.

L’assetto romanico della facciata della cattedrale è ingentilito dal raffinato fastigio del portale centrale, in cui s’intrecciano, dagli stipiti all’architrave, ricche volute vegetali e figurazioni animali, concordemente apprezzato e descritto dagli storici locali per l’assoluto valore estetico.

Così, nel XVII secolo, l’erudito Loreto Mattei nel suo Erario Reatino ne parla come di un «bello, se ben gotico lavoro», ed ancora nel XX secolo, in un suo saggio pubblicato postumo in cui porta a sintesi le ricerche di una vita lunga ed operosa, Angelo Sacchetti Sassetti si limita a scrivere che «si aprono nella facciata tre accessi, di cui quello centrale ha un fregio marmoreo, in cui, finemente scolpite, ricorrono varie figurazioni vegetali e animali».

Ma il fregio in questione merita un’ osservazione più attenta ed approfondita, per poter essere apprezzato nella sua ricca polisemia.

L’anonimo scultore duecentesco dimostra di aver meditato a lungo la lezione magistrale di Benedetto Antelami e di Wiligelmo.

Egli appartiene con tutta probabilità ad una generazione successiva, se prende parte attiva al cantiere della cattedrale nella fase decorativa, forse appena avviata al tempo della consacrazione.

I lavori del complesso unitario costituito dalla cattedrale e dalla residenza pontificia s’intensificano nella seconda metà del XIII secolo, quando si costruiscono la torre campanaria (1252), il palatium Domini Papae (1283-1288), l’arco a doppia crociera, affiancato lungo il lato meridionale da una volta a botte nei cui peducci sono inclusi gli stemmi di casa Caetani, costruito per volontà di Bonifacio VIII dopo il terremoto del 30 novembre 1298 per ancorare il palazzo papale alle dimore antistanti.

Di questi importanti interventi, conosciamo solo alcuni dei nomi degli autori: i lombardi Pietro, Andrea ed Enrico che al tempo del vescovo Tommaso innalzano la torre campanaria antistante al duomo, ed ancora trent’anni più tardi Andrea magister, forse lo stesso architetto ormai maturo ed esperto, che legittimamente orgoglioso della sua opera si definisce «mente peritus … et arte citus».

L’architetto Andrea erige nell’arco breve di cinque anni il grande ambulacro voltato, sorretto da sei solidi pilastri cruciformi, su cui insiste la sala delle udienze dalle straordinarie dimensioni di m. 46 x 14 x 13,50 che si apre con la loggia delle benedizioni sul sagrato settentrionale della cattedrale.

Troppo labili sono a tutt’oggi le tracce documentarie, benché plausibilmente suffragate dalle fonti materiali, per attribuire alla mente geniale del maestro il progetto iconografico del portale del duomo.

Quel che è certo è che ci troviamo di fronte ad un’opera di grande pregio che cela un significato allegorico nutrito dalla cultura dei secoli antecedenti al tramonto del medioevo: le decorazioni a nastro della tradizione celtica, con il gioco dei raffinati elementi modulari atti ad evocare l’eternità, cedono il passo ad una sequenza di immagini orientata verso un fine soteriologico, al naturalismo espressivo del romanico dell’Italia settentrionale si sovrappone, o forse già consapevolmente si oppone, il simbolismo maturato presso le botteghe dei marmorari romani, i Cosmati, i Mellini, i Vassaletto.

Il fregio scultoreo in marmo finemente scolpito reca ancora visibile il segno degli strumenti, la subbia, lo scalpello, il violino, i raschietti abilmente utilizzati dal suo anonimo autore.

Dal modellato, concepito come un nastro fitomorfo, si enucleano per ciascuno dei lati otto girali da cui emergono nuovi steli, bacche, rosette, animali.

Il motivo ornamentale si diparte dall’architrave, da una testa d’ariete che evoca il sacrificio di Abramo. Dalla sua bocca si snoda la decorazione vegetale, dalle larghe volute in cui si annidano il grifone alato, il basilisco, l’aquila e l’aquilotto.

Alla base dei due stipiti, a destra il fregio si conclude nelle fauci di una leonessa, a sinistra in un cespo di foglie d’acanto simili a quelle che decorano in alto i capitelli ed incorniciano la lunetta.